FEMMINISMO, SENZA AGGETTIVI

Spesso sento dire, non sono una femminista”, oggi sento dire da una candidata alle elezioni comunali prossime venture “non sono una femminista aggressiva”.
Davvero mi mancava l’aggettivo “aggressiva” aggiunto al sostantivo “femminista”.
Di solito veniamo definite “isteriche”, “esagerate”, “invidiose”, “fanatiche”.
Inoltre, in genere una femminista non si definisce negativamente.
Chissà perché questa candidata ha sentito il desiderio di definirsi in tal modo?
Forse perché è consapevole che una candidatura al femminile può avere delle chance e può indurre alcune “femministe” a votarla a prescindere dai compagni di viaggio con cui condivide l’esperienza elettorale?
Certamente però definirsi “femminista non aggressiva”, le fa correre il rischio di allontanare le simpatie femministe.
Ma insomma che vuol dire quel “aggressiva”? Non mi risulta che le femministe aggrediscano uomini, donne o bambini.
Essere femminista significa avere la convinzione che donne e uomini siano
pari, con le stesse opportunità, senza discriminazioni e con diritti uguali.
Non ho mai sentito un uomo dire “sono un maschio moderato” oppure “non sono un candidato aggressivo”.
Generalmente dicono di essere : determinati, caparbi, e se usano termini al negativo, preceduti dal “non” lo fanno per esaltare qualche dote, tipo “non mi
rassegno”, “non mi scoraggio facilmente”.
La storia ha dimostrato, invece, che le femministe sono state spesso “aggredite”.
Ricordo il cosiddetto “venerdì nero” del novembre del 1910, quando 300 donne marciarono verso la Camera del Parlamento a Londra per protestare e lottare per il diritto al voto. La polizia reagì in modo molto violento, picchiandole brutalmente,
tanto che due di loro morirono a seguito delle ferite, e un centinaio furono arrestate, continuando a subire violenze. Certo quella fu la miccia che causò una reazione non proprio pacifica da parte di alcuni gruppi di femministe, che presero di mira le vetrine dei negozi, davano fuoco alle case, solitamente a quelle di uomini politici, o ai club riservati ai soli uomini.
Oppure come non ricordare la morte di Emily Davison, che per aver voluto dare
visibilità al movimento delle suffragette, ha cercato di appendere la bandiera del movimento alle briglie del cavallo del re, per farla sventolare fino al traguardo
 in occasione di un avvenimento mondano tra i più importanti della Gran
Bretagna, quello del derby di galoppo di Epsom.
Appare forse questo riferimento storico fuori luogo?
Non credo, perché penso che quando si fa riferimento al femminismo, dovremmo avere ben in mente che se oggi possiamo votare e farci votare, lo dobbiamo proprio alle tante femministe, che non si sono vergognate di definirsi tali e non hanno nemmeno cercato di “attenuare” o “ammorbidire” il loro impegno sociale e politico.
E sì, forse hanno anche usato toni “aggressivi” per risvegliare la coscienza collettiva e della classe dominante, che preferiva conservare un “diritto tutto per sé”, escludendo le donne dalla vita politica.

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