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I DIRITTI NEGATI
È difficile parlare delle donne afghane e dei diritti delle donne in generale.
La gogna mediatica: fare informazione o vendere giornali
Sbatti il “mostro” in prima pagina.
Troppe volte abbiamo visto pagine intere, con gigantografie del “mostro” in prima pagina, con dovizia di ipotesi di reato, con relative interviste di cittadini “indignati”, che poi sono state smontate dalla realtà documentale e giudiziaria.
Certamente, però, a fronte di assoluzioni perché “il fatto non sussiste”, non si è vista una analoga campagna giornalistica riabilitativa.
Penso di saperne qualcosa di “gogna mediatica”, perché l’ho subita.
Penso che non sia vero che se si riesce a superare un periodo così difficile si diventi più forti.
Penso che esperienze così drammatiche ti cambino per sempre.
Ti cambiano intimamente perché durante i periodi di gogna mediatica impari a congelare il cuore, a congelare ogni emozione, ti imponi di annullare ogni emozione, ti imponi di non sentire nulla, ti concentri sulla tua difesa.
Quando tutto si risolve al meglio, ti accorgi che un po’ di fango ti rimane comunque addosso e che in alcuni rimane il sospetto che “qualcosa di vero, ci sarà pure stato!”.
Penso che vi siano dei ruoli, quali quello dei magistrati, che hanno in mano la dignità, l’onore e la libertà dei cittadini, che debba essere svolto da persone capaci di essere imparziali, equilibrate, al di sopra di ogni sospetto, non coinvolte nelle dinamiche politiche, senza rapporti amichevoli con il potere economico, sociale e politico e, non ultimo, devono essere riservate. I processi sono pubblici, ma si svolgono nelle aule dei tribunali, solo in quella sede i magistrati, inquirenti o giudicanti, possono e devono parlare, non nelle conferenze stampa o nei talk show.
Il magistrato dovrebbe essere al di fuori delle contese, faccio un riferimento azzardato: verso la fine del XII secolo i Comuni medioevali introdussero la figura del podestà e tale carica poteva essere ricoperta da una persona non appartenente alla città che andava a governare, in modo da evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine e garantire l’imparzialità nell’applicazione delle leggi. Il podestà era eletto dalla maggiore assemblea del Comune (il Consiglio generale) e durava in carica, di solito, sei mesi o un anno. Doveva giurare fedeltà agli statuti comunali, dai quali era vincolato, e alla fine del mandato il suo operato era soggetto al controllo da parte di un collegio di sindaci.
Dal XII secolo ad oggi, le cose sono cambiate, esiste la Costituzione, il codice civile e penale, il CSM e, in teoria, la legge deve essere applicata in modo uguale in tutto il territorio nazionale e quindi ammetto che il paragone è azzardato, ma la cosiddetta “giustizia ad orologeria” non è una fantasia.
Quante volte abbiamo assistito ad avvisi di garanzia consegnati, prima ai giornali che agli interessati, in piena campagna elettorale e quante volte le indagini strombazzare dalle prime pagine si sono poi rivelate inconsistenti!? Troppe!
I nostri magistrati, generalmente, sono assolutamente inseriti nelle società in cui amministrano la giustizia, partecipano alle relazioni sociali, sono invitati a cene e feste, e se non sono superuomini o superdonne ne sono inevitabilmente condizionati anche nell’esercizio del proprio ruolo.
Agli atti delle inchieste che mi hanno riguardato non c’erano denunce di cittadini o segnalazioni anonime, ma solo qualche articolo di giornale, non frutto di inchieste giornalistiche, ma un semplice articolo che riportava chiacchiere, rivelatesi infondate.
Certamente alle spalle della giornalista ci sarà stato qualcuno che non aveva né il coraggio né la dignità di assumersi la responsabilità di una denuncia, correndo quindi il rischio di essere poi coinvolto in un risarcimento. (Uso il femminile e il maschile non a caso).
Anche chi svolge il ruolo importante dell’informazione dovrebbe essere consapevole che tratta della dignità e della vita delle persone e così come si dà ampio risalto all’inizio di una procedura giudiziaria si dovrebbe dare altrettanto risalto alle assoluzioni, specie con formula piena, ma così generalmente non avviene.
Questa abitudine a creare il “mostro” non è ovviamente riservata ai politici, ma a chiunque venga, suo malgrado, scelto come adatto al ruolo. Certo, la denuncia dell’abuso, del reato, “commesso” dai politici, e ancora di più delle donne in politica, è particolarmente efficace e priva di rischi concreti per chi la pratica. E vale anche all’incontrario: quante volte la stampa assolve il violentatore seriale, o lo stupro di gruppo perpetuato da ragazzi di buona famiglia, o da un uomo di potere “che è una così brava persona”, ma si accanisce contro la vittima?
La questione, secondo me, va posta sempre in termini di valori: il rispetto della dignità delle persone, deve essere praticato sempre ed in ogni momento, con la consapevolezza che le parole pronunciate sono macigni sulla vita delle persone.
NESSUNA È PARI SE NON SONO PARI TUTTE
– infrastrutture sociali ed educative tali da consentire di poter permettere alle donne e agli uomini di realizzare i propri sogni e le proprie attitudini
– garanzia di universalità dei servizi socio/educativi
Fiducia è l’imperativo categorico !
L’incoerenza del Presidente del Consiglio dei Ministri
Il caso della modifica della legge elettorale provinciale
I vocabolari sono inadeguati e contribuiscono a mantenere gli stereotipi di genere e ad essere offensivi nei confronti della donna.
Cari Partiti, ma qual è la vostra “Mission”?
Velo e libertà
“Per me il mio velo è un simbolo di libertà (…)coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima”. Queste le parole di Silvia/Aisha, scelta libera che va rispettata.
Il problema dal mio punto di vista è che le donne mussulmane non sono affatto libere d’indossare il velo, ma è loro imposto dagli uomini, dai padri, fratelli, mariti, dalla società che non prevede affatto la parità tra i generi.Non nego che vi siano donne mussulmane che dichiarino come indossare il velo non sia una costrizione e che lo ritengano perfino “giusto”, non cogliendo per nulla che la religione impone solo a loro un “dress code”, che uniforma il genere.Il velo non è affatto un simbolo di libertà, ma è il segno della sottomissione della donna, è il segno del potere maschile, è il segno anche della poligamia a senso unico.Silvia/Aisha afferma che coprendo il corpo le persone potranno vedere la sua anima.Ma solo le donne devono coprirsi per essere considerate persone con un’anima, gli uomini hanno un’anima visibile anche in bermuda, canottiera e sandali con calzini, non è strano?E dunque perché negare agli uomini questa opportunità, che si coprano anche loro per rendere visibile la loro anima!In concreto il velo lascia ben poca libertà, non quella di farsi una bella corsa o di andare in bicicletta o di farsi una nuotata, senza rischiare di farsi del male.Silvia/Aisha è il simbolo della forza e della resilienza, merita il massimo rispetto e credo che poche persone sarebbero riuscite a superare la durissima prova che lei ha vissuto.Qualunque cosa, qualunque pensiero possa averla aiutata a superare l’angoscia e la disperazione della prigionia è stata una buona cosa, ma penso anche che i suoi rapitori abbiano gioito nel vederla scendere dall’aereo in Italia velata e convertita, perché poteva essere interpretata come una dichiarazione di comprensione delle ragioni “nobili” dei rapitori, una giustificazione di un crimine odioso che di nobile non ha nulla.Una vicenda violenta, brutale e squallida, che si è risolta con il pagamento di un riscatto, ha rischiato di apparire come uno “scontro di civiltà”.Mi rendo conto di essere provocatoria nel dire ciò che dico e di attirarmi facili critiche, ma davvero trovo insopportabile vedere, anche nel mio paese, ragazze e donne velate, sempre un passo indietro rispetto al maschio e costrette in veli, teli che devono nascondere agli occhi degli estranei il loro corpo di donne, il loro essere donne, come se dovessero vergognarsene.Lo trovo insopportabile perché le donne appaiono come una proprietà, un oggetto silente e vergognoso.Infine, mi domando se queste donne mussulmane siano meglio delle altre donne, prive di ambizioni effimere, così capaci di pensare che l’anima, la sensibilità e l’intelligenza femminile si possa esprimere solo “castigando” il corpo?A me non sembra la via della felicità e della libertà, ma quella della segregazione e della infelicità.